
Paura.
Ansia.
Sconforto.
Tre sentimenti provati quando il 1 settembre terminai il controllo ginecologico mensile al mio ormai settimo mese di gravidanza.
Tornata a Monza, dalle vacanze passate giù a Napoli, feci la tanto temuta curva glicemica, la nemica della donna in gravidanza.
Credevo che la cosa peggiore fosse bere tutto d’un fiato il bibitone di glucosio puro, gusto arancia, senza batter ciglio e cercare di non vomitare.
Non fu così.
La cosa peggiore furono le parole del ginecologo quando mi comunicò il responso: “signora, ha il diabete gestazionale!”
Da lì non capii più nulla, ci furono una serie di raccomandazioni, diete, visite diabetologiche in programma e varie scartoffie da compilare e da portare all’asl perché, da quel momento, venni etichettata come “la donna gravida con l’esenzione da diabete”.
In dotazione mi venne dato il glucometro e mi venne spiegato come utilizzarlo, come se stessi capendo qualcosa, come se le loro parole fossero cosa da nulla.
Per me non lo erano.
Per me non lo sono state per tutto il tempo della permanenza in ambulatorio ed oltre.
Per tutto il tempo ho solo pensato “cavolo, com’è possibile?” E, soprattutto, “perché questa gravidanza si e la passata no? Cosa ho sbagliato stavolta?”
Ho iniziato a chiedermi quali potessero essere le conseguenze per lui ai miei picchi di glicemia, dove avessi sbagliato, se avessi fatto del male a mio figlio inconsapevolmente, se stesse soffrendo a causa della mia glicemia fuori controllo, se fossi stata una mamma irresponsabile.
Ho iniziato a cercare su internet cosa comportasse per il bambino l’avere una madre con diabete.
In questi casi è lui il tuo amico/nemico più grande, ti fornisce ogni tipo di risposta, dalle più soft a quelle più strong che, per una come me, risultano essere le più pericolose psicologicamente.
Iniziai con il tempo a realizzare che, per i restanti tre mesi, avrei dovuto effettuare misurazioni quattro volte al giorno, prima e dopo i pasti e monitorare il tutto in un diario da portare a controllo.
Uno stress insomma.
Ciò avrebbe ostacolato la mia normale routine già complicata di per sè, avendo una figlia di tre anni a cui dare attenzioni.
Ho iniziato ad odiare il cibo che ingerivo perché temevo potesse fare del male al mio bambino, entrando così in un circolo vizioso.
Iniziai a dimagrire e non a metter peso.
Avevo paura di mangiare e, al contempo, avevo una fame pazzesca.
Mi sono cibata sempre delle stesse cose: quelle che non aumentavano la mia glicemia.
Ho mangiato chili e chili di insalata.
Ho pianto.
Ogni volta.
Durante le prime misurazioni il senso di sconforto irrompeva, forte, come un pugno nello stomaco.
Chiudevo gli occhi e li riaprivo al bip del glucometro che segnava il dato del giorno, pregando che non segnasse un valore fuori dal range stabilito dalla diabetologa.
Fortunatamente sono riuscita a gestire il tutto grazie ad una dieta personalizzata, strutturata da una nutrizionista.
Ad altre amiche, conosciute sui social, la dieta, purtroppo, non è bastata dovendo ricorrere a dosi di insulina, chi più chi meno.
Passarono così settembre ed ottobre senza che me ne accorgessi.
Iniziavo a stare bene.
Parlare con i medici iniziava a farmi stare bene.
Il mio peso che non aumentava iniziava a non preoccuparmi, Nicolò cresceva perfettamente, ero io a dimagrire.
“È normale”, mi dicevano, “per una donna che segue una sana alimentazione e che non aveva perso i chili della prima gravidanza”
Mi sentivo bene, con il passar del tempo, con il mio corpo.
Alcuni giorni avevo dei picchi che mi spaventavano ma son riuscita a tenere a bada anche l’ansia, non solo il diabete.
Durante quei due mesi mi sono iscritta a gruppi di sostegno su Facebook in cui ci si scambiavano opinioni, ricette a basso contenuto glicemico ed alternative allo zucchero, che tanto si ama in questo periodo così delicato per ogni donna.
Non mi sono sentita sola.
Sono stata circondata da persone che mi hanno capita, spronata e rassicurata, primi tra tutti i medici che mi hanno presa in cura.
Che vi sia un’equipe medica alle vostre spalle, in questi casi, è essenziale: la collaborazione tra ginecologo, diabetologo e nutrizionista risulta essere basilare.
La loro collaborazione mi ha aiutata a gestire meglio la situazione, a sviscerare i miei dubbi più stupidi e a rispondere alle mie domande più strambe e a non dare importanza soprattutto alle risposte prese da internet.
Poi ho partorito.
E la donna con diabete gestazionale che partorisce ha una sola domanda da porre al pediatra il minuto dopo la nascita del suo piccolo: “le glicemie del bimbo come sono?”
Non vuole sapere le sue ma, come giusto che sia, quelle del bambino.
E l’unica risposta che vuole, com’è successo a me, è “sono perfette, signora, come le sue!”
Dal 7 novembre l’incubo mio è terminato.
O almeno per il momento.
Il sistema sanitario nazionale prevede per la donna con diabete gestazionale un’altra curva glicemica a distanza di 120 giorni dal parto, quella decreterà la mia uscita del tutto da quest’esperienza forte di vita.
Ora sono solo a quasi 60 giorni.
Intanto, incrociate tutte le dita per me.”