Tutto è iniziò la mattina del quattordici febbraio, quella mattina dovevo presentarmi in ostetricia alle 7:30 dove avrei trovato il mio ginecologo che mi avrebbe visitata per controllare la situazione e decidere come intervenire.

Quel giovedì ero stanca, sfinita, gonfia, vogliosa di conoscere il secondo amore più grande della mia vita ma allo stesso tempo “disperata” perché avrei preferito non nascesse il giorno di San Valentino.

Induzione

Arrivati in ospedale ci fecero accomodare in sala d’attesa e non appena entrò in turno il mio ginecologo, mi chiamò per la visita.

Mi visitò e mi disse che ero dilatata di 1,5 cm e mi dette tre opzioni: tornare dopo tre giorni ma con la consapevolezza che lui non sarebbe stato presente, fare il cesareo o indurre con il palloncino, ovviamente scelsi la terza.

Una volta inserito il palloncino, è possibile tenerlo massimo ventiquattro ore, dopodiché viene estratto e valutato il da farsi.

Quella mattina alle 11:30 mi venne inserito questo palloncino e venne riempito con siringhe d’acqua così che potesse favorire la dilatazione.

In quelle ventiquattro ore ho avvertito solo piccole contrazioni preparatorie che a me, in quel momento, sembravano contrazioni quasi regolari.

Passeggiai per ore con una mia cara amica (pure lei doveva partorire) per i corridoi di ostetricia, ad alternare risate a piegamenti dovuti a contrazioni improvvise.

Dopo 24 ore ancora nulla..

Arriviamo al quindici mattina, esattamente alle 11:30 il ginecologo mi chiamò nella stanza visite e mi estrasse questo palloncino, io convinta di essermi dilatata un po’, rimasi sorpresa quando mi disse che ero di 2,5 cm e a quel punto mi sentii quasi mancare, non potevo essermi dilatata solo di un centimetro, quanto ci avrei messo ad arrivare a dieci?!

In più Olivia si presentava con occipite posteriore, cioè aveva la faccia rivolta verso l’addome anziché verso il dorso della madre.

Così lui mi dette nuovamente tre opzioni: aspettare altre ventiquattro ore per vedere se si fosse smosso qualcosa, fare il cesareo o provare a rompere le acque.

Ovviamente anche questa volta scelsi l’ultima opzione.

L’inizio del travaglio

E così fu, entrai in camera alle 11:55 e alle 12 ebbi la prima contrazione fortissima, dove lei si riposizionò correttamente e posso assicurare che non fu per niente piacevole.

Di lì a breve venni portata  in sala parto, io iniziai a non capire più niente, avevo contrazioni continue senza possibilità di respirare o riposarsi tra una e l’altra, urlavo, mi contorcevo, non riuscivo a stare in piedi, non riuscivo a sedermi, ne tanto meno ad accovacciarmi, per un secondo mi illusi di avere un minuto di respiro e mi sdraiai sul lettino ma arrivò una contrazione fortissima, seguita da tante altre, che mi tenne bloccata su quel lettino senza più possibilità di muovermi.

Le contrazioni erano frequenti, regolari e molto dolorose, avevo dei coltelli puntati ad altezza reni.

L’ostetrica continuava a ripetermi di respirare, io ero distrutta, il tempo che mi sembrava non passare mai, mi pareva di non riuscire ad uscire da quel turbinio di emozioni, dolori, parole che mi sembravano sfumare dopo la prima sillaba, una sensazione stranissima, mai provata prima.

Ad un certo punto nella stanza erano presenti tre ginecologi, quattro ostetriche e mia madre, iniziai a capire che il momento si stava avvicinando, ma capii anche che qualcosa non andava, i battiti stavano calando, chiamarono chi di dovere per far preparare la sala operatoria nel caso ci fosse stato bisogno e vidi negli occhi di mia madre la paura, non riuscivo a percepire a pieno cosa stesse succedendo, sentivo vociferare ma era come se fossi dentro ad una bolla di sapone.

I medici decisero di attaccarmi l’ossitocina per accorciare i tempi, quando ad un certo punto sentii il bisogno di spingere.

L’ostetrica, sorpresa, mi disse che ero arrivata a dilatazione completa e che appena fosse arrivata la contrazione avrei dovuto iniziare a spingere.

Iniziai a spingere ad ogni contrazione accompagnata da un urlo, nonostante mi avessero detto di respirare per non andare in iper ventilazione, il poter urlare fu liberatorio per me in quel frangente.

Più spingevo è più credevo di non potercela fare, mi sembravano attimi eterni, mi sembrava di esser lì da ore e non riuscire ad affrontare un parto naturale, le ostetriche continuavano a dirmi di vedere i capelli della bambina, io che non riuscivo a crederci e non riuscivo nemmeno a muovermi di mezzo millimetro, bloccata da quei dolori lancinanti.

Finalmente insieme

Quando mi sentì dire “ci siamo, l’ultima spinta”, non feci in tempo a risponderle che sentì il pianto della mia piccolina, una vitellina di 3 chili e 720 grammi per 55 centimetri, con una circonferenza cranica non indifferente.

Appena me la misero sul petto non ebbi nessuna reazione, ero troppo distrutta, ero fuori di me, come se fossi stata drogata, la strinsi ma non dissi niente, volevo solamente espellere la placenta ed uscire da quel lettino.

Una volta finito tutto, dati i tre punti, fattami mettere su un altro lettino, vidi il mio compagno con il nostro secondo gioiello in braccio e solo in quel momento mi resi conto di cosa avessi appena fatto, di cosa noi donne siamo capaci di fare e di quanto meravigliosamente perfetto sia il corpo di una donna.

Olivia, nonostante mi sembrasse eterno il tempo passato in sala parto, è nata alle 13:37, esattamente un’ora e trentasette minuti dopo la prima contrazione, con solamente quattro spinte.

Magari questa cosa mi farà apparire strana ma appena uscita dalla sala parto dissi all’equipe

“ ci vediamo al prossimo parto naturale”

Per quanto possa essere doloroso il parto, non sarà mai paragonabile all’emozione e all’amore che si prova appena si conosce il proprio figlio per la prima volta.

Non vedo l’ora di poter provare nuovamente l’emozione del parto e spero di poterla provare ancora diverse volte.

Il parto è l’appuntamento al buio più bello che possa esserci in tutta la nostra vita.

Testo e foto di Ilaria 

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