
È il 15 febbraio 2014. Io sono a scuola, con i miei 18 anni appena compiuti e un pancino timido che spunta dalla maglietta. Mi suona il telefono durante la ricreazione, è mia madre: è andata a ritirare il referto delle mie analisi e dice che devo ripetere i prelievi del sangue, il valore degli anticorpi al citomegalovirus è dubbio.
Non capisco, è la prima volta che faccio questo esame del sangue e non ho la minima idea di cosa si tratti, ma non mi preoccupo troppo, dopotutto l’ora dopo mi aspetta un’interrogazione.
Quando torno a casa da scuola trovo mia madre agitata e capisco subito che il Dottor Google ha colpito ancora: provate a digitare “citomegalovirus gravidanza”… Ecco la prima definizione che trovate, in grassetto, come se a caratteri normali non potesse essere abbastanza spaventosa: L’infezione da CMV può diventare pericolosa se contratta durante lagravidanza, perché il virus può superare la placenta e contagiare il feto.
Qui inizia il mio calvario. Ho passato la giornata chiedendomi il perché… Non era forse già abbastanza complicato essere incinta a 18 anni?
La prima cosa che ho fatto, dopo aver fissato un appuntamento con la ginecologa, è stato iniziare a cercare in rete qualche notizia su questo virus, sostanzialmente innocuo, se non in gravidanza.
La mia situazione era particolare: IGG alte, ovvero avevo già gli anticorpi al virus, dunque ciò faceva pensare che lo avessi già contratto e debellato, ma anche le IG, che indicano il virus ancora in corso, erano assolutamente positive. Bisognava capire cosa fare, ero già alla 17esima settimana di gravidanza e non avevo esami precedenti che evidenziassero il decorso del cmv. La mia ginecologa non aveva praticamente idea di come intervenire e tutto quello che fece fu inviarci al policlinico per un day hospital, un mese dopo.
Ovviamente non potevamo aspettare un mese e la miglior soluzione ci sembrò, ancora una volta, documentarci su internet.
Credo di aver realizzato cosa significa essere madre in quei momenti, quando sentivo muovere mio figlio dentro di me, ma non sapevo se andava tutto bene in lui. Ed è stato sempre in quei momenti che ho iniziato a scontarmi davvero col mondo degli adulti, dove, ahimè, il denaro regna a discapito dell’umanità e la sensibilità.
Presi in mano la situazione, mia madre sempre accanto a me. Il papà del piccolo, il mio attuale marito, viveva ancora a Caserta con i suoi, dunque era rimasto sullo sfondo.
Il primo step fu un’infettivologa, esperta proprio in cmv, ma che, nonostante ciò, non seppe dirci molto: la mia poteva essere una reinfezione, meno pericolosa della prima infezione, ma sempre rischiosa, oppure un’infezione non ancora debellata, il che non poteva essere accertato non avendo esami precedenti alle 16 settimane, grazie alla competenza della mia ginecologa.
La dottoressa mi parlò di tutti i rischi: ritardi, sordità, cecità. Panico.
Mi prescrisse altri esami, per rilevare il cmv in saliva e urine. Nemmeno a dirlo, era presente. A quel punto mi disse che, se le ecografie successive avessero mostrato problemi, avrei potuto decidere di praticare un aborto tardivo, in alcune parti d’Europa era possibile addirittura fino a 24 settimane. Me lo disse così, senza tatto, senza comprensione.
Non riesco a spiegare come mi sentissi. Davanti ai miei amici fingevo che tutto andasse per il meglio, ma ero straziata. Come potevo pensare allo studio? Come potevo anche solo dormire?
Fui fortunata, trovai un ginecologo esperto in diagnosi prenatale, che, dopo un’ecografia lunghissima e accurata mi rassicuró: il bambino, per il momento, non presentava anomalie.
Il sollievo durò poco, arrivata la data del day hospital al policlinico sprofondammo nuovamente. Mi ritrovai, dopo i prelievi, a fare colazione in una sala con altre mamme in attesa. Con la mia spensieratezza da 18enne, non esitai a chiedere come avrebbero chiamato i piccoli. Risposta glaciale di una donna: “Non ci abbiamo pensato, non vogliamo affezionarci, in caso qualcosa andasse storto”.
Poco dopo arrivò uno dei momenti peggiori della mia vita, uno di quelli in cui ho sbattuto la faccia davanti a un muro di menefreghismo che non credevo possibile. Il momento dell’ecografia.
Nonostante le circostanze fossero abbastanza spiacevoli, ero sempre felice di vedere il mio piccolo, così entrai in sala col sorriso. Una studentessa mi fece stendere sul lettino, poi si mise al computer e venne la dottoressa vicino a me. Girò lo schermo dalla sua parte, cosicché non potessi guardare ed iniziò a dettare dati alla ragazza, tra cui sentii chiaramente: CRESCITA RALLENTATA AL DECIMO PERCENTILE E DIFETTO ALLA VALVOLA CARDIACA SINISTRA. Cose mai emerse da altre ecografie, ma perfettamente congruenti ai rischi del cmv. Nuova ondata di panico.
Provai a chiedere spiegazioni, ma fui letteralmente cacciata dalla sala. I risultati li avremmo discussi con il medico assegnato al mio caso al termine della giornata.
Quando raccontai tutto a mia madre, spaventate, decidemmo di richiamare il ginecologo che mi aveva fatto la precedente ecografia, il quale ci fissò un appuntamento l’indomani.
Non trovò nulla di quanto riportato il giorno prima: nessun difetto cardiaco, il bambino cresceva al 70esimo centile. Anche la risonanza che mi prescrisse non riportò alcun difetto. Ma era presto per stare tranquilli: i danni, soprattutto quelli cerebrali, possono formarsi anche molto più avanti.
Alcuni ginecologi non prescrivono nemmeno l’esame del sangue per il cmv, perché, nonostante sia rischioso, a detta della maggior parte del mondo scientifico, non c’è una cura.
Non si può fare niente. Si può scegliere l’aborto terapeutico “a scatola chiusa”, senza sapere se davvero si svilupperà qualche problema, oppure si può andare avanti, verso una sorte sconosciuta. Una roulette russa, unico indizio la statistica.
Io scelsi di andare avanti, ma non di aspettare senza far nulla. Mia madre trovò un medico abruzzese, esperto in cmv, che sosteneva di curare il virus e farlo regredire attraverso l’infusione di immunoglobuline. Costo 2000€.
Ma la salute del mio bambino poteva avere un prezzo? Assolutamente no!
Mi sottoposi a questo trattamento, ancora sperimentale, e fu un altro bagno di realtà: mai visto un ciarlatano simile. Più volte mi chiesi come si possa speculare così sulla preoccupazione e la sofferenza altrui. Evidentemente è più che possibile.
Dopo il trattamento continuarono i mille esami, ma iniziai finalmente a convivere con la consapevolezza che davvero non potevo far nulla, solo attendere. Cercai di rasserenarmi, di maturare e realizzare che avrei accettato il mio bambino in ogni caso.
Un lieto fine
Man mano che le settimane di gravidanza aumentavano, la preoccupazione si affievoliva, fino a placarsi quando, il 10 luglio 2014, Christian, un bel maschietto sano di più di 3 kg, è venuto al mondo. Era negativo agli esami per il cmv, non lo aveva contratto, stava bene.
Questa esperienza, a tratti devastante, mi ha insegnato tanto. È stata la mia finestra sul mondo dei genitori, un mondo in cui tu vieni dopo, dove le preoccupazioni non mancano mai.
In più mi sono resa conto che su questo virus c’è davvero tanta disinformazione, per questo ho deciso di mettermi totalmente a disposizione di ogni mamma che dovesse avere questo problema, per fornirle i nomi degli specialisti che mi hanno aiutata e qualche parola di conforto, dunque, per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.