
“C’era una volta una mamma. Proprio così. Una mamma. Anche se a dire il vero era una mamma solo a metà, perché il pezzo più importante le mancava. Un figlio. Aveva cercato tanto il suo: sotto i cavoli, nei nidi di cicogna, nei calici dorati dei fiori e nel brulicare delle api. Cercava e cercava.
Non perdere la speranza
Sapevo infatti di essere nata mamma, quindi, per forza, da qualche parte, nascosto in qualche cassetto del tempo, in qualche angolo del mondo, ero sicura che avrei trovato il mio bambino.
Lo sapevo e basta, come i pesci sanno respirare sotto l’acqua, e gli uccelli volare.
E se ogni tanto la fatica prendeva il sopravvento sulla speranza, lui mi consolava apparendomi in sogno
Proprio così. Una notte, dopo che, stanca di cercare sopra i tetti e lungo gli argini dei torrenti, mi ero addormentata sentii una vocina sussurrare all’orecchio.
“Sono io mamma. Non piangere. Vedrai. Ci vorrà ancora tempo,
pazienza e amore. Ma sono in viaggio. Per ora sono ancora un angelo, ma fra qualche
anno nascerò. Nascerò in una terra lontana. Ma avrò questi stessi occhi con cui ti sto
guardando dal cielo, e questa voce con cui ti consolo nel silenzio della notte. Nascerò
dall’altra parte del mondo, ma tu sii pronta: avrò bisogno di te. Preparati mamma. Il tuo
viaggio sta per cominciare.”
La scelta
Mancavano ancora molti mesi al tuo concepimento, ma appena sveglia iniziai subito la tua “attesa”. Non ero sola, certo. Papà, che già ti portava nel cuore, anche lui non vedeva l’ora di abbracciarti. E quindi iniziammo subito, tenendoci per mano, il nostro viaggio. Partimmo subito, senza bisogno di pensarci, e prima di tutto con il cuore, perché fosse allenato e pronto al vero viaggio, alle salite e alle burrasche.
Lo nutrimmo di speranze, gli insegnammo ad avere pazienza, ad affrontare l’incertezza, a superare l’imprevisto, a vincere la paura.
Lo spogliammo di ogni preconcetto, dal pregiudizio, dal bisogno di certezze. Ci volle tempo. Ma quando il nostro cuore fu pronto, allora tutto diventò possibile. E da sogno che eri, diventasti vero.
Un figlio. In carne ed ossa. Un figlio ancora lontano, raccontato in qualche riga di relazione. Una telefonata, un biglietto aereo, una valigia preparata in fretta e furia…ma eri già con noi, nel nostro mondoe nel nostro cuore.
Così che è nata la nostra famiglia
“Ho scritto queste righe la notte del 7 aprile 2016, durante il volo di ritorno da Addis Abeba, mentre il mio fagottino sfinito dal pianto e dallo spavento di tutto quel trambusto si era finalmente addormentato fra le braccia di papà.
Aveva 18 mesi. Io lo guardavo felice ed orgogliosa, e così è stato ogni giorno: vederlo crescere bello, spensierato e curioso.
Le prime difficoltà
Però da qualche tempo c’è qualcosa che non va. Capita che sia triste, e mi domandi perché non possa essere come tutti gli altri. “Gli altri chi?” gli chiedo. “Gli altri bambini”. “E cosa hanno di diverso da te amore mio?”. “Loro sono bianchi”.
Lì per lì sono rimasta sbigottita. Ho pensato a tutto, meno che potesse dipendere dall’esterno. E’ cosi piccino, ha solo 4 anni. Ma col passar del tempo, andando a fondo, cercando anche il confronto con le altre mamme, mi sono dovuta ricredere. E si. Perché la nostra favola, il nostro mondo, il nostro amore, sono diventati oggetto di dibattito e di “attenzione” negativa da pare di troppi. Si parla solo di differenze, se ne parla male, a vanvera, e in modo quasi sempre dispregiativo
Ho conosciuto così Gabriella Nobile e le altre mamme dell’associazione. E non ho esitato a unirmi a loro in questa difficile Resistenza.
Noi non siamo militanti di partito ne candidate a nessun seggio. Non siamo manipolate e non ambiamo a poltrone magiche nè alla popolarità. Siamo solo madri orgogliose e felici, fuori da ogni partito e contesto politico.
Ma quando il disprezzo per le altre etnie e minoranze, la discriminazione e la rabbia contro ogni diversità iniziano a diventare la quotidianità in una società evoluta, ci perdonerete, ma non possiamo più ingoiare.
A volte, quando si è genitori e si sente continuamente sottolineare la diversità dei propri figli come un “valore ridotto” anziché “aggiunto”, ci si sente anche un po’ offesi. E allora si risponde. Ma non è propaganda la nostra. È legittima difesa.
E’ legittima difesa per me, mamma di D, che a 4 anni viene rifiutato dagli altri bimbi al
parco perché “straniero”, “africano” o si sente dire “morto di fame” nella sala d’attesa di un
ambulatorio.
Ed è legittima difesa per la mamma di F. che a 13 anni non vuole più salire sul pullman e va a scuola in monopattino, perché ripetutamente ha dovuto subire la meschinità degli adulti ed è stato insultato per il colore delle pelle
Lo è per la mamma di A, 18 anni, snobbata dai ragazzi coetanei perché una donna nera è potenziale fonte di malattie venere.
E vogliamo parlare della mamma di B. 14 anni, finito in terapia dopo essere stato fermato e malamente perquisito dalla polizia alla ricerca di droga, solo perché di etnia diversa.
E’ legittima difesa per la mamma di L. quando suo figlio di ritorno da scuola piange perché il
professore, pensando di essere divertente, gli ha detto “se non studi ti prendo a sberle fino
a farti diventare bianco”.
Ci sono giovani che non riescono più a entrare in discoteca perché lasciati alla porta dai buttafuori. C’è uno studente di diciassette anni che è stato accerchiato da dodici persone e pestato come un cane, mentre qualcuno riprendeva col telefonino ed incitava il branco.
Sono centinaia le segnalazioni delle madri adottive, fatti quotidiani di violenza, non necessariamente fisica.
Fanno parte della violenza anche le umiliazioni e l’emarginazione, che sono in allarmante aumento e rischiano di pesare sulle spalle dei nostri bambini e dei nostri ragazzi come macigni.
I dati raccolti da UFAI (Unione Italiana Famiglie Adottive) parlano di alunni non accolti, isolati od esclusi dagli altri compagni di scuola nel 60% dei casi.
A questi dati si devono aggiungere tutti i casi di razzismo rivolti ai ragazzi nati in Italia da genitori biologici di altra etnia. Cittadini Italiani, a tutti gli effetti.
Come dovremmo spiegare ai nostri figli cosa gli aspetta, il perché di tanta rabbia verso la
diversità?
È un fatto gravissimo, e ci riguarda.
Un gruppo di mamme coraggiose ha deciso di costituire un’associazione culturale cui è stato dato il nome di “Mamme per la Pelle” con lo scopo di creare una rete organizzata di madri con figli che rischiano di subire discriminazioni per il colore della loro pelle e per le loro origini.
In pratica, l’associazione “Mamme per la pelle” intende costituire sportelli legali dove si possano denunciare soprusi, violenze e insulti, discriminazioni nel mondo del lavoro; sportelli psicologici dove le famiglie o le singole persone possano essere assistite e
guidate nei momenti più difficili; centri di informazione che indichino le istituzioni (scuole, centri sportivi ed altro) e le figure professionali più competenti e più sensibili alla cultura multietnica, vista come valore in sé.
“Mamme per la pelle” non hanno paura di combattere il vortice di terrore e di violenza che
si sta diffondendo nel nostro Paese.
Per noi parlare di razzismo, inclusione, equità, solidarietà, preparazione scolastica, rete sociale, non rappresenta un esercizio di stile o un manifesto. È parte della nostra vita. Ogni giorno. Anche se vorremmo non fosse così… Nessuna madre può volere ciò che sta accadendo a molti dei nostri figli oggi. Ecco perché ci troverete sempre qui a provare con ogni mezzo, armate soprattutto dalla forza del cuore, a cambiare questo angolo di Storia.